Avv. Carla Di Lello
L’introduzione del principio di sussidiarietà nel testo del Trattato sull’Unione europea del 1992, meglio noto come Trattato di Maastricht ha la sua esegesi profondamente radicata nella storia politica della Comunità.
Ed infatti, fin dagli anni ‘70 l’idea della sussidiarietà cominciò a diffondersi, nei documenti ufficiali della Comunità, quale principio essenziale alla costruzione di un’unione politica, nella quale le singole competenze fossero espressamente distribuite tra vari livelli di governo sia all’interno, nei rapporti tra le istituzioni, sia all’esterno nei rapporti intercorrenti tra Comunità e Stati membri.
Nel Rapporto sull’Unione europea svolto dalla Commissione nel 1975, si prevedeva che l’Unione avrebbe disposto di competenze esclusive, in minima misura, e di competenze concorrenti e potenziali, e che, in ogni caso, quale che fosse il tipo di competenza esercitata, l’Unione avrebbe potuto intervenire solo per assolvere quei compiti che i singoli Stati non fossero in grado di adempiere.
Il primo documento normativo sull’argomento fu il Progetto di Trattato sull’Unione europea redatto, adottato dal Parlamento europeo, che, come è noto, costituì il tentativo di rilanciare l’idea di Europa in una fase politica, perdurante dalla metà degli anni ’70, che ne aveva decretato l’affievolimento e la crisi, causati essenzialmente da gravi motivi di recessione economica.
Nel Progetto venne definitivamente introdotta la distinzione, già ipotizzata in molti precedenti documenti ufficiali della Comunità, tra competenze esclusive, concorrenti e potenziali della Comunità e il principio di sussidiarietà venne espressamente recepito, sia quale regola di carattere generale dell’azione della Comunità, sia quale regola preposta all’esercizio delle competenze concorrenti.
Nella sua prima formulazione il principio di sussidiarietà veniva così ad essere una regola di espansione delle competenze comunitarie, previa salvaguardia di quelle nazionali, quasi a configurare una costituzione proto-federale.
Com’è noto, tuttavia, il progetto di Trattato sull’Unione falli per la preoccupazione degli Stati di perdere, troppo presto e senza effettivi strumenti di controllo, la propria sovranità ed il Trattato Cee subì, com’ è noto, una revisione soltanto parziale con l’Atto Unico del 1986.
Nell’Atto Unico il principio di sussidiarietà venne, per la prima volta, espressamente inserito in un testo giuridico, ma solo limitatamente alla materia ambientale ed in termini assai vaghi e generici, e dunque tali da non poter costituire alcun vincolo stretto alla politica dell’Unione.
Solo tra la fine degli anni ‘80 e gli inizi dei ‘90, vennero poste le basi per un mutamento dell’assetto costituzionale della Comunità, poi sfociato nel Trattato di Maastricht sull’Unione europea del 1992. Il mutamento si concretizzò nella tendenza a provocare una sorta di “rinazionalizzazione” di competenze già trasferite alla Comunità, o in una conservazione attenta, in capo agli Stati membri, di quelle competenze concorrenti che, per suo conto, la Comunità non avesse ancora esercitato.
In questo quadro politico e culturale il principio di sussidiarietà, inteso nell’accezione etimologicamente più fedele del termine, quella di subsidium, apparve lo strumento ideale per favorire un’interpretazione restrittiva delle competenze comunitarie.
Nei documenti ufficiali della Comunità, che prepararono il campo alla redazione del nuovo Trattato il principio di sussidiarietà venne quindi invocato sia quale criterio per regolare l’esercizio delle competenze concorrenti tra Comunità e Stati membri sia quale principio atto ad interpretare, in senso restrittivo, le stesse competenze esclusive della Comunità e ad indicare il modo “normale” di attribuzione e di esercizio delle stesse.
L’inserimento del principio di sussidiarietà nel Trattato di Maastricht e il suo accoglimento nei documenti che hanno segnato le successive tappe del processo di integrazione, hanno decretato quindi la strutturazione di un “sistema Europa” da leggersi in chiave “proto” o “pseudo” federale.