1. Premesse
Ripensare a un fisco solidale e responsabile, perché in grado (i) di occuparsi dei bisogni materiali dei contribuenti (ii) soddisfacendo comunque il fabbisogno connesso al finanziamento delle funzioni essenziali dello Stato e degli Enti territoriali (Regioni, Province e Comuni), significa allargare le modalità di contribuzione alle spese pubbliche (art. 53 Cost.).
Infatti, se è vero che il pagamento dei tributi è una modalità di contribuzione alle spese pubbliche, è anche vero che non è la sola.
E quindi, per realizzare questo principio, costituzionalmente riconosciuto (artt. 53 e 118, comma 4 Cost.), occorre riconoscere, all’interno del sistema di finanza pubblica, la rilevanza di forme di contribuzione diretta alle spese pubbliche da parte dei cittadini (attraverso la partecipazione diretta all’assunzione dell’onere economico di servizi di pubblica utilità). In pratica, il nuovo sistema di finanza pubblica deve poter prevedere accanto alle ordinarie forme di contribuzione di tipo coercitivo (tributi), altre forme di tipo volontaristico (contribuzione diretta e volontaria dei cittadini).
Così facendo, il principio di sussidiarietà amplia il suo ambito di applicazione fino a diventare un metodo di suddivisione (tra le istituzioni, la società civile e i cittadini) delle competenze e delle responsabilità rilevante anche nel sistema della finanza pubblica (sussidiarietà fiscale). In questo sistema la coercitività dell’imposizione è necessaria ma non esclusiva, poiché la società civile e i cittadini devono poter essere responsabili in prima persona del finanziamento e della gestione della cosa pubblica. Solo quando questa partecipazione non si verifica, per ragioni collegate o a difficoltà oggettive o a inerzia dei contribuenti, allora interverrà l’autorità pubblica (i) attraverso i tributi che (ii) finanzieranno le spese pubbliche.
Per attuare questo principio, occorre tuttavia individuare dei criteri oggettivi di valutazione economico/finanziaria, relativi (i) alla capacità dei cittadini e della società civile di intervenire direttamente nella contribuzione, e (ii) ai vantaggi, in termini di risparmio per la finanza pubblica, conseguenti alla presenza operosa di determinate realtà sociali (famiglie, associazionismo, enti ecclesiastici, scuole private, imprese etc.). Solo così, un sistema fiscale potrà definirsi veramente sussidiario, e i conti pubblici potranno beneficiare della virtuosità e del senso di responsabilità dei contribuenti.
È evidente quindi che, impostato così, il sistema della finanza pubblica può più facilmente includere modalità di tassazione eque, che tengano ben distinte (i) le realtà sociali che già lavorano per il raggiungimento del bene comune della società, determinando un risparmio per la finanza pubblica, da (ii) quelle che invece devono essere aiutate perché sono indietro rispetto alla generalità dei cittadini (contribuenti e imprese residenti in aree svantaggiate, imprese in crisi, famiglie in difficoltà, anziani soli, infanzia abbandonata, etc.).
In conclusione, sostenendo un sistema di finanza pubblica ispirato alla sussidiarietà fiscale significa allargare il concetto stesso di democrazia, non più alla sola democrazia c.d. “rappresentativa” (in cui i cittadini votano chi imporrà loro i tributi: no taxation without representation) ma anche a quella c.d. “partecipativa” (in cui i cittadini, coordinandosi con le istituzioni, si “autotassano” partecipando direttamente alle spese pubbliche e alla gestione della cosa pubblica).
2. Proposte concrete
a. Premialità e non solo sanzioni per imprese e persone fisiche
Un fisco responsabile deve responsabilizzare i contribuenti.
Tuttavia, non è ammissibile un fisco in grado di svolgere solo le funzioni proprie di un “cane da guardia”. Ciò in quanto, “il cane da guardia” non sa distinguere il contribuente virtuoso da quello scorretto.
Al contrario, l’essere contribuente “responsabile” significa anche poter ricevere un riconoscimento, tangibile, da parte dell’autorità, dell’esercizio “responsabile” dei diritti contributivi.
Infatti, il contribuente “virtuoso” paga correttamente i tributi, e lo fa, spesso, tra mille difficoltà. Sentirsi perciò aggredito crea inevitabilmente una sorta di avversione naturale nei confronti del sistema fiscale.
Occorre invertire la tendenza, prevedendo forme premiali, per persone fisiche e imprese, per esempio, riconoscendo particolari agevolazioni di pagamento a quei contribuenti che adempiono “senza macchia” ai propri doveri tributari.
Inoltre, occorre proseguire con politiche fiscali, dirette a premiare, attraverso forme di detassazione, quelle imprese, che hanno ancora voglia di investire sul personale e sulla ricerca.
In particolare, guardando soprattutto alla realtà delle piccole imprese e dei distretti industriali, lungimirante potrebbero essere politiche fiscali che sappiano invogliare aggregazioni associative, sotto forma, per esempio, di consorzi costituiti allo scopo di promuovere la ricerca, la formazione, la creazione di marchi e brevetti ecc.. Una forma di incentivo potrebbe essere la piena deducibilità degli interessi passivi da finanziamento.
b. Quoziente familiare
Una tassazione più equa a favore delle famiglie non rappresenta un vantaggio per le famiglie ma costituisce un’opportunità per la finanza pubblica. Infatti, ammettendo una tassazione più equa, si riconosce il ruolo sociale e economico delle famiglie.
Il “fare famiglia” tornerà in questo modo a essere un fatto importante per la società, mentre i cittadini non devono pensare alla famiglia come a una sorta di “condanna fiscale”.
In questa prospettiva una soluzione potrebbe essere l’opzione a favore del quoziente familiare, che non deve essere considerato un’agevolazione, ma, al contrario, rappresenta il riconoscimento del fatto che la famiglia non può essere tassata se non possiede reddito. E la famiglia non possiede reddito se le proprie risorse sono investite sulla famiglia stessa, contribuendo così alle spese pubbliche.
In altre parole, la famiglia, solo perché esiste e svolge le sue attività, in ambiti costituzionalmente rilevanti (educazione, assistenza etc.), contribuisce alle spese pubbliche.
In concreto, con il quoziente familiare ad essere tassato non è l’individuo come singolo (secondo il metodo attualmente vigente in Italia dell’imposizione unitaria per singolo individuo) ma l’individuo in forza della sua partecipazione al nucleo familiare. In pratica, i redditi di ogni componente della famiglia sono sommati e poi divisi per un numero risultante dall’attribuzione a ciascun componente della stessa (inclusi coloro che non producono reddito, come ad esempio i figli minori) di un certo coefficiente, in base al quale il peso dell’individuo sulla distribuzione del reddito “familiare” viene ad essere più o meno rilevante a seconda della sua partecipazione alla produzione del reddito ovvero del favore che il legislatore vuole dare a determinate categorie.
Provando a fare un esempio, moglie e marito potrebbero avere un coefficiente 1 e i figli minori coefficiente 0,5. In questo modo il coefficiente totale di una coppia sposata senza prole è 2, mentre quello di una coppia con due figli sarà 3.
Ne consegue che la sommatoria dei redditi nel primo caso sarà divisa per 2, mentre nel secondo sarà suddivisa per 3 con conseguente maggiore abbattimento della base imponibile e, quindi, una minore imposta da pagare anche per effetto della progressività delle aliquote.
È evidente quindi che un simile sistema determinerebbe un abbattimento delle imposte per i componenti della famiglia, tanto maggiore quanto maggiore sarà il numero dei componenti del nucleo e quanto più alto sarà il reddito familiare (per effetto della progressività).
Avv. Vincenzo Bassi